Dopo aver immaginato un mondo in cui l’intelligenza artificiale ha ridotto malattie, povertà e disuguaglianze, resta una domanda più profonda e complessa:
anche in un pianeta più prospero e giusto, gli esseri umani riusciranno a vivere in pace tra loro?
È questa la riflessione alla base della quarta parte del saggio “Machines of Loving Grace: How AI Could Transform the World for the Better” di Dario Amodei, fondatore e CEO di Anthropic, che propone una visione di come l’AI possa – o debba – essere usata non solo per risolvere problemi tecnici, ma anche per migliorare le relazioni tra gli esseri umani e le nazioni.
L’AI come strumento per la stabilità globale
Amodei parte da una constatazione essenziale: anche in uno scenario ideale, dove fame e malattie sono sotto controllo, il conflitto umano resta una costante.
La competizione per il potere, le risorse o l’influenza può riemergere in nuove forme, soprattutto in un mondo dove l’intelligenza artificiale diventa un fattore di potenza geopolitica.
Per affrontare questa sfida, l’autore propone una “strategia di intesa”, un approccio che unisce forza, cooperazione e diplomazia tecnologica.
La “strategia di intesa”: il bastone e la carota
Secondo Amodei, la via più pragmatica per mantenere la pace passa attraverso una coalizione di democrazie che agisca in modo coordinato per:
- Ottenere un vantaggio strategico sull’AI – assicurandosi il controllo delle catene di fornitura critiche (come chip e semiconduttori), limitando l’accesso alle risorse chiave da parte di potenziali avversari.
- Usare l’AI per rafforzare la sicurezza militare – garantendo una superiorità difensiva, capace di dissuadere conflitti senza alimentare una corsa agli armamenti incontrollata.
- Distribuire i benefici dell’AI in modo cooperativo – offrendo ai Paesi neutrali o emergenti l’accesso a tecnologie avanzate in cambio del supporto a una visione democratica e condivisa dell’intelligenza artificiale.
In questo schema, il “bastone” è la potenza militare e tecnologica, mentre la “carota” è la promessa di prosperità e sviluppo per chi sceglie di aderire a un ecosistema AI etico e collaborativo.
AI e democrazia computazionale
Ma Amodei non si ferma alla geopolitica.
Immagina anche un uso dell’AI per rafforzare la democrazia dall’interno, rendendo la partecipazione politica più informata e costruttiva.
Attraverso progetti di “democrazia computazionale”, l’intelligenza artificiale potrebbe:
- aggregare e analizzare in modo imparziale le opinioni dei cittadini;
- facilitare la costruzione di consenso su temi complessi;
- individuare compromessi e soluzioni condivise;
- supportare la creazione di spazi digitali di deliberazione collettiva.
In questo modo, l’AI diventerebbe un mezzo per migliorare la qualità del dibattito pubblico, ridurre la polarizzazione e favorire la cooperazione tra governi e cittadini.
Una cittadinanza più informata, consapevole e riflessiva, osserva Amodei, potrebbe rappresentare la base per istituzioni democratiche più solide e resilienti.
Dalla competizione alla cooperazione tecnologica
Le tensioni geopolitiche legate alla tecnologia – dal controllo dei chip alla supremazia algoritmica – sono già evidenti. Tuttavia, l’autore suggerisce che la stessa AI che alimenta la competizione potrebbe diventare uno strumento di coordinamento globale.
Un’AI utilizzata per:
- prevenire conflitti analizzando scenari di rischio in tempo reale;
- monitorare le armi digitali e autonome;
- facilitare trattative internazionali basate su dati oggettivi e simulazioni predittive;
potrebbe ridurre la probabilità di guerre e incidenti geopolitici.
In altre parole, la chiave per la pace non è solo chi controlla l’AI, ma come la si usa: per dominare o per mediare.
Rischi e limiti: il lato incerto della governance dell’AI
Amodei ammette che molte di queste idee, per quanto affascinanti, sono ancora speculative.
A differenza dei progressi scientifici nel campo della biologia o delle neuroscienze, la governance dell’AI resta un terreno altamente incerto.
I rischi sono molteplici:
- militarizzazione dell’AI e proliferazione di armi autonome;
- monopolizzazione tecnologica da parte di pochi Stati o aziende;
- difficoltà nel costruire fiducia reciproca tra Paesi in un contesto competitivo.
La sfida sarà quindi creare istituzioni sovranazionali capaci di stabilire regole condivise sull’uso dell’intelligenza artificiale, bilanciando sicurezza, trasparenza e accesso equo ai benefici tecnologici.
Un equilibrio fragile ma possibile
In definitiva, il sogno di Amodei è quello di una AI come forza di stabilizzazione globale.
Una tecnologia che, invece di frammentare, possa unire:
- creando alleanze tra democrazie;
- favorendo l’inclusione dei Paesi in via di sviluppo;
- e, soprattutto, sostenendo il dialogo e la cooperazione tra gli esseri umani.
Come scrive l’autore:
“Una cittadinanza più informata e riflessiva rafforzerebbe le istituzioni democratiche.”
In un’epoca di polarizzazione digitale e disinformazione, l’intelligenza artificiale potrebbe rappresentare la chiave per una governance più equa, consapevole e partecipativa — se sapremo usarla con saggezza.
Conclusione: verso un nuovo ordine tecnologico condiviso
La sfida non è solo impedire che l’AI diventi un’arma, ma far sì che diventi un patrimonio collettivo.
Costruire pace e governance nell’era dell’intelligenza artificiale richiederà collaborazione tra Stati, aziende e cittadini, una nuova etica della responsabilità digitale e la capacità di mettere l’umanità al centro di ogni decisione algoritmica.
Come conclude Amodei, “non esiste certezza sulla fattibilità di tutto questo, ma è una direzione che vale la pena esplorare.”
Estratto dal saggio “Machines of Loving Grace: How AI Could Transform the World for the Better” di Dario Amodei
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